Si differenzia dalla servitù di veduta che invece è compatibile con la costruzione di opere a distanza legale. Tale servitù si risolve, a seconda dei casi, in una servitù di non aedificandi o altius non tollendi.
Si tratta quindi di una servitù negativa (perché il suo titolare ha il diritto di vietare al proprietario del fondo servente un particolare uso della sua proprietà).
Tali servitù non possono considerarsi apparenti, in quanto non necessitano di opere visibili che siano destinate al suo esercizio.
Chiarito quanto sopra si deve sottolineare come nell'ambito di un condominio il singolo condomino possa vantare una servitù nei confronti delle parti comuni dello stabile.
Infatti in uno stesso edificio la proprietà comune è configurabile come entità distinta da quella individuale sotto il profilo sia materiale, essendo identificabili le cose condominiali, sia della titolarità del diritto, dato che, mentre colui che ha la proprietà esclusiva di singole cose è un soggetto individuale, il titolare delle cose dl proprietà comune è un soggetto plurimo e diverso.
Uno spazio comune può quindi assumere veste di fondo servente sia in favore di condomini sia di terzi (si pensi al cortile condominiale gravato da servitù di passo in favore di fondo confinante con il condominio).
Di conseguenza è valida la clausola, contenuta nel contratto di acquisto dell'appartamento stipulato con il costruttore del complesso condominiale, che prevede anche limiti di altezza per gli alberi piantati nel giardino comune. La clausola però deve essere chiara e non è possibile l'interpretazione estensiva di tali pattuizioni.
A tale proposito merita di essere segnalata una decisione della Cassazione (Cass. civ., sez. II, 24/04/2019, n. 11224).
Controversia su alberi nel giardino condominiale e servitù di panorama
La vicenda prendeva l'avvio quando i proprietari di un'unità immobiliare facente parte di un condominio richiedevano al tribunale la condanna del condominio a rimuovere taluni alberi di alto fusto messi a dimora negli spazi esterni condominiali, piante che ostacolavano il godimento del panorama.
Gli attori facevano presente che già nel preliminare di compravendita immobiliare, concluso con la società costruttrice-venditrice, quest'ultima aveva garantito agli acquirenti che il fabbricato da costruirsi davanti al loro appartamento non avrebbe superato la quota massima rappresentata dal livello del corrimano della ringhiera del loro balcone.
Tale pattuizione era stata poi inserita anche nel rogito, prevedendo, però, solo limiti di altezza per l'ulteriore palazzina da edificare nell'area condominiale.
Il Tribunale respingeva la domanda degli attori e tale decisione veniva confermata dalla Corte di Appello, la quale non escludeva che la presenza di alberi ad alto fusto nel giardino condominiale potesse integrare, in astratto, gli estremi di una turbativa di una servitù di panorama, ma riteneva che, nel caso di specie, il presupposto per l'inquadramento della servitù dedotta in giudizio "tra quelle a tutela delle vedute panoramiche" non fosse stato compiutamente allegato, né provato in giudizio.
In particolare i giudici di secondo grado ritenevano che la suddetta clausola prevedesse solo limiti di altezza per l'ulteriore palazzina da edificare nell'area condominiale, senza limitare il diritto di piantumazione di alberi di alto fusto; d'altra parte, la destinazione a giardino di talune aree condominiali era vincolata dagli atti di obbligo sottoscritti dalla società costruttrice.
Naturalmente i condomini interessati a godere ancora del panorama criticavano l'interpretazione operata dalla Corte sulla portata della clausola contrattuale sopra detta.
La questione veniva sottoposta all'attenzione della Suprema Corte.
Esito del ricorso sulla servitù di panorama e interpretazione contrattuale
La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso, ha osservato in primo luogo che la lettera della clausola contrattuale è stata correttamente valorizzata dai giudici di merito, osservando come un divieto testualmente riferito alle costruzioni non potesse intendersi esteso anche alle piantumazioni; in tal modo la corte distrettuale si è uniformata all'insegnamento giurisprudenziale alla cui stregua il carattere prioritario dell'elemento letterale non va inteso in senso assoluto, atteso che il richiamo nell'art. 1362 c.c. alla comune intenzione delle parti impone di estendere l'indagine ad altri criteri, anche laddove il testo dell'accordo sia chiaro ma incoerente con indici esterni rivelatori di una diversa volontà dei contraenti.
In altre parole i condomini non hanno dedotto alcuna prova che testimoniasse una volontà dei contraenti diversa da quella emergente dal testo della clausola che faceva riferimento al "fabbricato da costruirsi davanti all'appartamento di cui sopra".
Correttamente, pertanto, i giudici di secondo grado avevano osservato che l'accordo contrattuale costitutivo della servitù prevedeva espressamente solo i limiti di altezza per le nuove costruzioni e la servitù di panorama non poteva essere fatta valere nei confronti del condominio e degli altri condomini se non nella misura strettamente aderente alla formulazione letterale del contratto, senza indebite interpretazioni estensive.