Per esercitare un proprio diritto o per contrastare una pretesa altrui, la strada della soluzione amichevole non sempre è percorribile.
Perciò l'azione legale può diventare l'unico strumento per risolvere il contenzioso tra le parti in causa. Non devi, però, mai dimenticare che in nessun caso è consentito essere protagonisti di una lite temeraria.
Non è possibile azionare un diritto, abusando dello stesso, ad esempio proponendo un'impugnazione basata su motivi manifestamente infondati.
Non è permesso nemmeno citare in giudizio qualcuno per mero spirito di emulazione, cioè senza avere alcuna utilità e al solo scopo di arrecare molestia o pregiudizio al convenuto. Così come è illegittimo il comportamento di chi avvia una causa pienamente consapevole dell'infondatezza delle proprie ragioni di diritto o resiste ad essa al solo fine di rimandare il riconoscimento della pretesa altrui.
In questi, come in altri casi, appare evidente la malafede o la colpa grave della parte in giudizio. Si tratta di una circostanza che non è irrilevante per la legge.
Vediamo, pertanto, cosa prevede la normativa a tale riguardo.
Rischi e conseguenze legali della lite temeraria
Il codice di procedura civile è molto chiaro nel condannare chi agisce o resiste in giudizio con malafede o colpa grave «Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell'altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d'ufficio, nella sentenza.
Il giudice che accerta l'inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare, o trascritta domanda giudiziale, o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l'esecuzione forzata, su istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni l'attore o il creditore procedente, che ha agito senza la normale prudenza. La liquidazione dei danni è fatta a norma del comma precedente.
In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell'articolo 91, il giudice, anche d'ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata (Art. 96 cod. proc. civ.)».
Per la norma appena riportata, chi si rende responsabile di una la lite temeraria rischia, oltre all'inevitabile soccombenza sulle spese di lite, anche la condanna al ristoro dei danni.
Quest'ultimo effetto non è, necessariamente, legato ad una precisa richiesta della parte che ha subito l'indebito comportamento processuale. Il giudice, infatti, riscontrato l'illecito, anche d'ufficio, può liquidare a favore del danneggiato una somma quantificata in via equitativa a titolo di risarcimento.
Lite temeraria: la natura del risarcimento
Il risarcimento, previsto dalla legge in occasione di una lite temeraria, non è soltanto un modo per indennizzare la parte di un procedimento che è stata vittima della colpa grave o della malafede altrui.
Chi ha instaurato un giudizio abusando del proprio diritto oppure chi si è opposto ad un decreto ingiuntivo al solo scopo di rimandare il consolidamento della pretesa creditoria ha, evidentemente, arrecato danno anche al sistema giustizia, già gravato di suo dai numerosi procedimenti da istruire e risolvere.
Lo chiarisce il Tribunale di Velletri allorquando precisa che la disposizione in esame «risponde all'esigenza di preservare l'interesse pubblico ad una giustizia sana e funzionale, scoraggiando l'abuso dello strumento processuale e le condotte contrarie al principio di lealtà processuale che aggravando, l'uno, il ruolo del magistrato e concorrendo, le altre, a rallentare i tempi di definizione dei processi, creano nocumento alle altre cause in trattazione mosse da ragioni serie e, spesso, da necessità impellenti ed urgenze nonché agli interessi pubblici dello Stato che, in conseguenza dei ritardi, è sottoposto alle sanzioni previste dalla L. 89/2001 (cosiddetta Legge Pinto) giusto l'art. 6 della Convenzione Europea sui Diritti dell'Uomo (Trib. di Velletri sent. n. 2775/2018)».
Quindi, la condanna al risarcimento per lite temeraria soddisfa un fine punitivo, non necessita, a tutti i costi, che la parte in buona fede dimostri di aver subito un danno e può essere disposta anche d'ufficio «in considerazione degli interessi pubblicistici, che la norma mira a realizzare, la condanna ai sensi della citata disposizione è attivabile d'ufficio, senza la richiesta della parte e senza che questa dimostri di aver subito un danno alla propria persona o al patrimonio in conseguenza del processo (Trib. di Velletri sent. n. 2775/2018)».
Lite temeraria: la quantificazione del risarcimento
Nell'applicare l'art. 96 cod. proc. civ., la Cassazione (Cass. civ. ord. n. 21570/2012), seguita da varie pronunce dei giudici di merito, ha confermato che, per aver avviato una lite temeraria o per aver resistito con colpa grave o malafede alla pretesa altrui, la quantificazione del risarcimento deve avvenire in aggiunta alle spese di lite.
In particolare, accertato l'abuso, il giudice può condannare la parte soccombente al pagamento di una somma pari agli oneri processuali, già liquidati, oppure ad un multiplo di essi, purché, tale determinazione, avvenga nel rispetto dei limiti della ragionevolezza.
Sembra chiaro, quindi, che una condanna per lite temeraria può determinare, a carico dell'attore o del convenuto in malafede, un onere risarcitorio anche di rilevante misura.
Ad esempio, in una sentenza del Tribunale di Padova del 10 febbraio 2015, con la quale è stata rigettata un'opposizione a decreto ingiuntivo di natura, esclusivamente, dilatoria, il soccombente, oltre alle spese di lite, è stato condannato ad un risarcimento pari al quintuplo delle medesime.
È, evidente, quindi, che una lite temeraria possa costar caro al responsabile.