La formazione? Un video. La sede d'esame? Un computer. Il responsabile scientifico? Un nome sconosciuto.
Inauguriamo questa rubrica "a termine" sui sette peccati capitali degli amministratori di condominio partendo proprio dagli obblighi di formazione e aggiornamento, e dunque torniamo a parlare, per forza di cose, di gravi irregolarità. Anzi, per essere precisi, siamo costretti a riprendere il discorso sulla sempre più frequente "clemenza " dei Magistrati in ordine a quelle che i condòmini, a torto o a ragione, ritengono essere "gravi irregolarità" perpetrate ai loro danni dai professionisti che gestiscono la proprietà comune.
Per chi mi accusa di essere sovente dalla parte degli amministratori, sgombro immediatamente il campo da ogni equivoco e dico senza mezzi termini che la questione in esame, stavolta, è ben diversa.
Curriculum eccellenti, preventivi specialistici, referenze ineccepibili gareggiano puntualmente in assemblea dopo il "via" del presidente all'apertura delle buste, in vista della formalizzazione della nomina. E poi? Poi vediamo. O poi niente.
Spesso le promesse sottoscritte nero su bianco naufragano miseramente nel j'accuse dei condòmini che desiderano, anzi giustamente pretendono, il pieno e incondizionato rispetto delle regole.
Altro che rapporto fiduciario. Altro che contratto di mandato. Altro che osservanza delle norme e delle riforme che hanno modificato le norme stesse. Un gioco di parole? Forse.
Ma anche e soprattutto un gioco sull'equivoco, sulle plausibili, indefinite e perciò quasi provocatorie "interpretazioni" di leggi che appaiono più o meno ossequiate formalmente, ma che denunciano - sotto sotto - il sapore di poco edificanti prese in giro. Insomma, fiducia sempre, ma certezze niente.
Come è accaduto ai condòmini che hanno fatto causa all'amministratore aggiornatosi telematicamente in conformità a quanto previsto dalla norma, ma che poi non si è degnato di andare a farsi esaminare in una sede vera, dove avrebbe dovuto relazionarsi di fronte a un responsabile scientifico in carne e ossa.
" Parte ricorrente (il condominio) ha espressamente contestato al resistente (l'amministratore), tra l'altro, l'idoneità dei corsi frequentati atteso che l'esame finale si è svolto con modalità telematiche, mentre il resistente ha affermato che ciò sarebbe consentito dalla norma vigente, atteso che per 'sede' non dovrebbe intendersi un luogo fisico, potendo essa essere intesa anche come virtuale ".
Questo il fatto posto all'esame del Tribunale di Torino, poi sfociato nell'ormai famoso decreto n. 1768 del 30 luglio 2019. E questa la immediata, successiva considerazione degli stessi Giudici riportata nel medesimo decreto: "ritiene il collegio che sul punto l'interpretazione della parte resistente non possa essere condivisa, atteso il chiaro disposto normativo che, nel consentire la partecipazione ai corsi per via telematica, fa salvo espressamente, quale eccezione alla regola, lo svolgimento dell'esame finale, che deve avvenire in una sede, da intendersi come luogo fisico determinato, identificata dal responsabile scientifico del corso ".
Dunque i condòmini ricorrenti hanno ragione. Anzi no. " In quest'ottica - scrive infatti il Tribunale torinese - per essere rilevanti ai fini della revoca, ove tale conseguenza non sia prevista direttamente dal legislatore, le condotte poste in essere dall'amministratore devono essere indice di una negligenza macroscopica e di una dannosità potenzialmente significativa, giustificando così un intervento invasivo, in quanto sostitutivo della volontà assembleare, quale quello della rimozione dell'organo gestorio ".
L'universo normativo che orbita intorno al mandato affidato agli amministratori condominiali, allora, diventa così sempre più evanescente, e mandare a casa i professionisti troppo impegnati, che snobbano finanche un minimo di confronto culturale annuale con i responsabili scientifici degli enti di formazione, diventa una fatica di Sisifo.
Starò magari esagerando, ma il fatto è che senza rendercene conto, e proprio sul nobile e tanto sbandierato tema dell'aggiornamento continuo, ci stiamo riducendo a ragionare in termini di irregolarità gravi e negligenze macroscopiche così che alcun gestore refrattario all'apprendimento possa più di tanto temere l'allontanamento giudiziale dalle funzioni assunte nell'ente condominiale.
Eppure l'articolo 71 bis disp. att. cod. civ. esiste, e chiarisce senza mezzi termini le modalità con le quali l'amministratore è obbligato a curare il proprio aggiornamento professionale. Ed esiste pure un regolamento ministeriale che disciplina tale dettato normativo, così come pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 222 del 24.9.2014.
Sono in molti a chiedersi cosa stia accadendo. L'avvocato Rosario Dolce, autorevole giurista del ramo, ha avuto modo di sottolineare, qualche giorno fa, che il disposto relativo ai corsi on-line "ha creato diversi dubbi tra gli operatori del settore, specie in ordine alla presenza fisica, o meno, dell'amministratore presso la sede individuata dal responsabile scientifico, al fine del sostenimento dell'esame".
E ciò, ha ricordato lo stesso Dolce, determina "una incertezza che si è perpetrata nel corso del tempo e che, in quanto tale, non è stata fugata neppure dal Ministero della Giustizia, in sede consultiva, con la nota del 17.6.2015 (quale risposta ai quesiti posti da Confedilizia).
Purtroppo, nella decisione resa dal Tribunale di Torino attraverso il decreto in esame, non sembra che si sia molto guardato alle legittime aspettative e alle già minime garanzie in tema di aggiornamento che il citato articolo 71 bis ha concesso al popolo degli amministrati.
La modesta preparazione di coloro che non hanno tempo (e magari neanche voglia) di approfondire attraverso incontri ed esami frontali il sempre più complicato mondo in cui gli amministratori di condominio sono chiamati ad operare, debilita e svilisce - oltretutto - i tanti professionisti preparati, attenti e perciò oltremodo rispettosi della norma.
Si fa silenziosamente strada, dunque, una concorrenza impari, oserei dire sleale, perché contrassegnata - in assenza di punibilità certa - dalla evidente sproporzione che fatti di questo tipo determinano tra operatori di uno stesso settore.
E ciò in quanto esiste - nonostante tutto - la possibilità di giocare al ribasso, offerta su un piatto d'argento dalle pronunce giurisprudenziali che si collegano all'applicazione dell'art 1455 cod civ, ove è stabilito - così come richiamato dal Tribunale di Torino - che "il contratto non si può risolvere se l'inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all'interesse dell'altra".
Che dire? A me hanno sempre spiegato che se ordino una Coca Cola e mi servono la Pepsi viene commesso il reato di frode in commercio. Sono perciò convinto che se conferisco un mandato in funzione delle leggi che lo regolano, e il mandatario non mi dimostra di averle integralmente rispettate, "rifilandomi " una cosa per un'altra, anche questa fattispecie potrebbe definirsi frode. La cultura specialistica, signori miei, non è mai disgiunta dagli impegni professionali che ci andiamo ad assumere.
E se - anche provocatoriamente - mi spingo a ipotizzare l'idea di una frode in aggiornamento, scusatemi.
Ma non potete non concordare sul principio che tutto ciò è davvero troppo stucchevole e tende irrimediabilmente a screditare l'intera categoria degli amici amministratori, i quali - nel nuovo corso tracciato dalla norma - vantano (o dovrebbero vantare) profonda conoscenza della materia, costante equilibrio nei rapporti e indiscutibile garanzia di totale rispetto delle leggi.