Il fatto. I proprietari di alcuni appartamenti di un edificio condominiale presentavano formale istanza chiedendo al Comune di intervenire per eliminare alcuni abusi edilizi perpetrati da altri condomini all'interno dell'edificio.
Gli istanti denunciano, in particolare, la presenza di alcuni manufatti negli spazi di distacco del fabbricato contro il divieto contenuto nel regolamento condominiale, secondo cui tali aree devono rimanere destinate a giardino.
Esiste inoltre un atto d'obbligo sottoscritto con l'amministrazione comunale al momento del rilascio del titolo edilizio per l'edificazione del fabbricato, con il quale l'allora proprietario dell'area si era obbligato a sistemare e mantenere permanentemente a giardino gli spazi di distacco dal fabbricato.
Il Comune non forniva alcun riscontro a tale istanza, sicché i condòmini presentavano ricorso al TAR contro il silenzio dell'amministrazione. Il TAR esclude anzitutto la sussistenza di un obbligo dell'amministrazione di provvedere in relazione a pretese che ineriscono a profili di natura privatistica attinenti ai rapporti tra condomini.
Sotto tale profilo, ritiene inammissibile il ricorso nella parte in cui si chiede al giudice di dare seguito all'obbligo di sistemare a giardino gli spazi assunto sottoscritto dall'allora proprietario.
Il ricorso è invece ammissibile nella parte in cui i ricorrenti contestano l'omessa attivazione da parte del Comune dei poteri di vigilanza e sanzionatori in materia edilizia.
La denuncia di abusi edilizi. Ricorda il TAR, infatti, che a fronte di un abuso edilizio del vicino, il proprietario confinante è titolare di un interesse legittimo all'esercizio di detti poteri e può, quindi, ricorrere avverso l'inerzia da parte dell'organo alla repressione di abusi edilizi.
La posizione del proprietario confinante. Da ciò consegue che, a fronte della persistenza in capo all'ente preposto alla vigilanza sul territorio del generale potere repressivo degli abusi edilizi, «il vicino che, in ragione dello stabile collegamento con il territorio oggetto dell'intervento, gode di una posizione differenziata, ben può chiedere al Comune di porre in essere i provvedimenti previsti dall'ordinamento, facendo ricorso, in caso di inerzia, alla procedura del silenzio-inadempimento» (TAR Lazio Roma n. 5542/2017).
Nel caso di specie, per una delle opere abusive denunciate è pendente già un giudizio innanzi al TAR; per l'altro manufatto abusivo è stata presentata domanda di condono edilizio. Ciò non esclude, tuttavia, che l'amministrazione avrebbe dovuto comunque fornire un riscontro all'istanza presentata dai ricorrenti.
La PA deve dare sempre una risposta ai privati, tranne nei casi di palese pretestuosità. Ai sensi dell'art. 2 della Legge n. 241del 1990, in presenza di una formale istanza, il Comune è tenuto a concludere il procedimento anche se ritiene che la domanda sia irricevibile, inammissibile, improcedibili o infondata, non potendo rimanere inerte.
Il Legislatore infatti ha imposto alla pubblica amministrazione di rispondere in ogni casa - tranne i casi limite di palese pretestuosità - alle istanze dei privati nel rispetto dei principi di correttezza, buon andamento, trasparenza, consentendo alle parti di difendersi in giudizio in caso di provvedimenti lesivi dei loro interessi giuridici.
Inoltre, se l'inadempimento continua, si può chiedere anche la nomina di un commissario ad acta, che provveda in sostituzione dell'amministrazione inerte. Sulla base di tali considerazioni, il
TAR Lazio-Roma, sentenza n. 3454 del 14 marzo 2019, ha accolto in parte il ricorso e, per l'effetto, ha dichiarato l'obbligo del Comune di provvedere sull'istanza presentata dai ricorrenti entro il termine di novanta giorni dalla sentenza. Spese di giudizio compensate
ha accolto in parte il ricorso e, per l'effetto, ha dichiarato l'obbligo del Comune di provvedere sull'istanza presentata dai ricorrenti entro il termine di novanta giorni dalla sentenza. Spese di giudizio compensate