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In caso di abusiva occupazione di una parte comune l'amministratore può agire per il “ripristino dei luoghi”

Occupazione abusiva parte comune: l'amministratore condominiale può agire giudizialmente.
Marta Jerovante 

(nota a sentenza della Corte di Cass. civ., 22 marzo 2013, n. 7327)

La massima

Nella sentenza oggetto del presente commento i giudici di legittimità definiscono i limiti dell'azione diretta dell'amministratore condominiale in relazione alla tutela del godimento dei beni condominiali, sancendo che «il potere rappresentativo che compete all'amministratore del condominio ex artt. 1130 e 1131 c.c. e che, sul piano processuale, si riflette nella facoltà di agire in giudizio per la tutela dei diritti sulle parti comuni dell'edificio, comprende tutte le azioni volte a realizzare tale tutela, con esclusione soltanto di quelle azioni che incidono sulla condizione giuridica dei beni cui si riferiscono, esulando, pertanto, dall'ambito degli atti conservativi ».

Il caso di specie

Nella concreta fattispecie un Condominio, tramite il suo amministratore, citava in giudizio i condomini proprietari dell'unità immobiliare sita all'ultimo piano dell'edificio, contestando loro l'abusiva realizzazione di strutture murarie nel sottotetto di proprietà condominiale sovrastante il loro appartamento; per effetto di tale intervento - lamentava il Condominio - si finiva infatti per separare tale porzione di sottotetto dalla restante area comune rendendone impossibile l'accesso ed il passaggio.

Si chiedeva, di conseguenza, il ripristino dell'accesso alla proprietà comune, con demolizione delle strutture murarie erette.

I convenuti, dal canto loro, nel chiedere il rigetto della domanda attorea, eccepivano la carenza di legittimazione attiva dell'amministratore, sostenendo peraltro che il sottotetto non fosse di proprietà condominiale, ma costituisse una pertinenza del loro appartamento.
La soluzione La Suprema Corte ha confermato la decisione impugnata, la quale aveva riconosciuto la legittimazione attiva dell'amministratore condominiale, trattandosi, nel caso de quo, di esercizio di un'azione di tutela di un bene comune: specificamente, di azione «diretta alla tutela dello stato di fatto del bene condominiale, mediante il "ripristino" dell'originario stato dei luoghi».

Gli atti conservativi delle parti comuni e il potere di rappresentanza dell'amministratore

Si ricorda che ai sensi dell'art. 1130, n. 4, c.c., l'amministratore deve compiere gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell'edificio. Il successivo art. 1131 c.c. disciplina poi i poteri di rappresentanza sia sostanziale che processuale dell'amministratore di condominio, conferiti nei limiti delle attribuzioni stabilite dall'art. 1130 c.c. e dei maggiori poteri previsti dal regolamento di condominio o da specifiche deliberazioni assembleari, individuando i casi in cui lo stesso amministratore può agire in giudizio di propria iniziativa e quelli in cui, al contrario, è necessaria l'autorizzazione dell'assemblea dei condomini.

Con specifico riguardo agli atti di cui all'art. 1130, n. 4, c.c., in sede giurisprudenziale si è affermata un'interpretazione estensiva secondo cui la norma pone a carico dell'amministratore come dovere proprio del suo ufficio quello di compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio, «potere-dovere da intendersi non limitato agli atti cautelativi ed urgenti ma esteso a tutti gli atti miranti a mantenere l'esistenza e la pienezza o integrità di detti diritti»(Cass. civ., 6 novembre 1986, n. 6494).

Per effetto del combinato disposto degli artt. 1130, n. 4, e 1131 c.c., l'amministratore del condominio è dunque legittimato, senza necessità di una specifica autorizzazione assembleare, ad agire in giudizio, nei confronti dei diritti dei singoli condomini e dei terzi, per compiere tutti gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni di un edificio. Tali sono, a titolo esemplificativo:

  • l'azione di reintegrazione avverso la sottrazione, ad opera di taluno dei condomini, di una parte comune dell'edificio al compossesso di tutti i condomini (Cass. civ., 3 maggio 2001, n. 6190);
  • l'azione di danno temuto, al fine di ottenere anche il risarcimento del danno cagionato alle parti comuni dello stabile condominiale, «allorché tale danno si concreti nelle spese occorrenti per la rimessione delle cose nel primo stato» (Cass. civ., 22 aprile 1974, n. 1154);
  • la demolizione della sopraelevazione dell'ultimo piano dell'edificio, costruita dal condomino in violazione dei prescritti limiti relativi sia alle norme antisismiche che alle alterazioni all'estetica della facciata dell'edificio (Cass. civ., 12 ottobre 2000, n. 13611);
  • l'azione avverso l'escavazione del sottosuolo (bene comune, anche per la funzione di sostegno dell'edificio, in mancanza di titolo attributivo della proprietà esclusiva) effettuata da alcuni condomini, proprietari di locali sotterranei, per l'ampliamento e l'unificazione degli stessi (Cass. civ., 30 dicembre 1997, n. 13102);
  • l'azione di cui all'art. 1669 cod. civ. intesa a rimuovere i gravi difetti di costruzione, nel caso in cui questi riguardino l'intero edificio condominiale e i singoli appartamenti (Cass. civ., 23 marzo 1995, n. 3366).

Il sottotetto è condominiale o del singolo condomino? Per saperlo bisogna guardare al primo atto di vendita (o alla natura del bene).

    L'esclusione delle azioni in materia di titolarità sulle parti comuni o su parti di proprietà esclusiva dei condomini

    Il potere di rappresentanza attiva dell'amministratore non si estende invece alle azioni che incidono sulla condizione giuridica dei beni cui si riferiscono e che non costituiscono, pertanto, atti conservativi (Cass. civ., 30 ottobre 2009, n. 23065): rappresenta infatti consolidato orientamento giurisprudenziale il principio secondo cui l'amministratore, senza autorizzazione dell'assemblea, non è legittimato all'esperimento di azioni reali contro i singoli condomini o contro terzi dirette ad ottenere statuizioni relative alla titolarità, al contenuto o alla tutela di diritti reali dei condomini su cose o parti dell'edificio condominiale (Cass. civ., 6 febbraio 2009 n. 3044: «gli atti conservativi di cui all'art. 1130 c.c. non si esauriscono nelle azioni cautelari, ma si estendono alle azioni a tutela dello stato di godimento della cosa comune purché non importanti una possibile disposizione della stessa», chiariscono i giudici di legittimità in una fattispecie relativa ad un'azione proposta nei confron ti di uno dei comproprietari, il quale aveva aperto accessi nel cortile comune ai fini della rimessa di autovetture.

    Conforme, Cass. civ., 24 novembre 2005, n. 24764, in cui si è negato che rientrasse fra le attribuzioni dell'amministratore l'azione di natura reale con la quale i condomini di un edificio chiedevano l'accertamento della contitolarità del diritto reale d'uso costituito dal venditore-costruttore su un'area di cui lo stesso costruttore-venditore si era riservato la proprietà).

    E' possibile il comodato d'uso delle parti comuni?

    Diversamente, all'amministratore si riconosce il potere rappresentativo di proporre una domanda di natura risarcitoria a tutela del patrimonio condominiale (Cass., n. 23065/2009, cit.).
    Come pure, in relazione alla denuncia da parte di un condominio dell'abusiva occupazione da parte del costruttore di una porzione di area (in uso) condominiale mediante la costruzione di manufatto di proprietà esclusiva, sussiste la legittimazione dell'amministratore di condominio ad agire giudizialmente ai sensi degli articoli 1130, n. 4, e 1131 c.c., senza necessità di apposita delibera condominiale, con azione per il ripristino dei luoghi e il risarcimento del danno, nei confronti dell'autore dell'opera denunciata e dell'acquirente di essa (Cass. civ., 25 luglio 2011, n. 16230).

    E analoga fattispecie - di abusiva occupazione di una porzione di area condominiale, mediante la costruzione di un manufatto di proprietà esclusiva - ricorre nel caso oggetto della sentenza in commento: pertanto, la Suprema Corte, riconoscendo che l'originario stato dei luoghi fosse mutato a seguito dell'esecuzione di opere in muratura e che lo spazio intercluso fosse stato di conseguenza attratto nell'ambito di esclusiva spettanza dei convenuti, ha ribadito la configurabilità in capo all'amministratore di condominio del potere di agire giudizialmente per il ripristino dell'originario stato dei luoghi. «Una simile azione, infatti - concludono i giudici di legittimità -, essendo diretta al mantenimento dell'integrità materiale dell'area condominiale, stravolta dalla nuova costruzione, rientra nel novero degli atti conservativi di cui al menzionato art. 1130 c.c.».

    La natura "comune" dei sottotetti

    Si ritiene opportuno chiudere con un'ulteriore precisazione: a seguito della riforma in materia di disciplina condominiale introdotta dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220, l'art. 1117 c.c. articola ora l'elencazione delle parti comuni in maniera più dettagliata ed estesa, ricomprendendovi nuovi manufatti, tra i quali - per quel che qui rileva - «i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all'uso comune» (n. 2).

    Si rammenta che l'assenza di un'esplicita previsione normativa aveva innescato un contenzioso, piuttosto acceso, in materia di proprietà di detto elemento, risolto sostanzialmente con il ricorso ad una sorta di presunzione legale di proprietà comune del manufatto, in ragione della natura meramente esemplificativa dell'elenco di cui all'art. 1117 c.c.

    La giurisprudenza ha, in particolare, dettato una serie di criteri per l'individuazione della natura e della conseguente attribuzione della titolarità del diritto di proprietà di detto locale, affermando che la natura del sottotetto di un edificio può ritenersi comune, se esso risulti in concreto, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, oggettivamente destinato (anche solo potenzialmente) all'uso comune o all'esercizio di un servizio di interesse comune (Cass. civ., 23 luglio 2012, n. 12840; 12 agosto 2011, n. 17249; 29 dicembre 2004, n. 24147; 19 dicembre 2002, n. 18091).

    Il Riformatore, con l'inserimento di cui al nuovo art. 1117 c.c., ha quindi inteso recepire il richiamato orientamento giurisprudenziale.

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