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La conciliazione nel caso d'impugnazione della deliberazione condominiale. Dubbi sul conflitto tra verbale di conciliazione e deliberato assembleare.

La legge non dice nulla in merito alla necessità di sottoporre l'accordo conciliativo alla ratifica dell'assemblea di condominio.
Avv. Alessandro Gallucci 

Ai sensi dell’art. 1137, secondo e terzo comma, c.c.:

Contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio, ogni condomino dissenziente può fare ricorso all'autorità giudiziaria, ma il ricorso non sospende l'esecuzione del provvedimento, salvo che la sospensione sia ordinata dall'autorità stessa.

Il ricorso deve essere proposto, sotto pena di decadenza, entro trenta giorni, che decorrono dalla data della deliberazione per i dissenzienti e dalla data di comunicazione per gli assenti”.

Si tratta del procedimento d’impugnazione delle deliberazioni condominiali annullabili ossia quelle “ con vizi relativi alla regolare costituzione dell'assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari attinenti al procedimento di convocazione o informazione in assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione, quelle che richiedono maggioranze qualificate in relazione all'oggetto" (così Cass. 7 marzo 2005 n. 4806).

Le deliberazioni nulle, invece, sono quelle " prive degli elementi essenziali, con oggetto impossibile o illecito (contrario all'ordine pubblico, alla morale e al buon costume), con oggetto che non rientra nella competenza dell'assemblea, che incidono sui diritti individuali, sulle cose, sui servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini o comunque invalide in relazione all'oggetto" possono essere impugnate, da qualunque condominio (favorevole, astenuto,dissenziente ed assente) in ogni tempo, poiché la nullità è un vizio d’invalidità che non prevede preclusioni temporali.

Nell’uno e nell’altro caso, tra circa un anno, ossia quanto entrerà in vigore l’art. 5 del d.lgs n. 28 del 4 marzo 2010 recante norme “ in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali” tanto per l’impugnazione delle deliberazioni nulle, tanto per quelle annullabili sarà necessario, quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale, esperire il così detto tentativo obbligatorio di conciliazione.

Nulla di strano, a prima vista, eppure si tratta di una materia che nasconde delle insidie.

In prima istanza va subito detto, a scanso di equivoci che il termine d’impugnazione, o meglio la decadenza dallo stesso, resta sospesa per il periodo necessario ad esperire il tentativo di conciliazione (art. 5, sesto comma d.lgs. n. 28/10).

Ciò che rappresenta il vero punctum dolens della riforma, finalizzata a decongestionare l’attuale carico giudiziario, è la compatibilità dell’esito del procedimento di conciliazione con le norme che regolano l’esecuzione delle delibere assembleari.

Ai sensi dell’art. 1137, primo comma, c.c., infatti, “ le deliberazioni prese dall'assemblea a norma degli articoli precedenti sono obbligatorie per tutti i condomini”.

Con l’accordo di conciliazione (sia esso scaturito dall’accordo tra le parti o su proposta del mediatore) non s’invalida la deliberazione impugnata, come potrebbe accadere all’esito del giudizio d’impugnazione, ma si affianca ad una decisione assembleare, formalmente valida, un accordo conciliativo probabilmente difforme dalle decisioni adottate dall’adunanza dei condomini.

La legge non dice nulla in merito alla necessità di sottoporre l’accordo conciliativo alla ratifica dell’assemblea di condominio, cosa che parrebbe logica ma che non è poi del tutto scontata.

Il rischio, insomma, è quello di vedere aumentate incertezze e contenziosi sulla validità degli accordi conciliativi.

Solo la prassi applicativa potrà dirci se si renderanno opportuni interventi legislativi correttivi.

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