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Condizionatore d'aria. Nessun inquinamento acustico quando l'utilizzo è funzionale all'attività dell'impresa.

Quando il condizionatore non può essere rimosso perchè indispensabile.
Jerovante Marta 

È solo un illecito amministrativo se il condizionatore è indispensabile alla sala giochi

Il caso Il Tribunale condannava la titolare di una sala giochi ad un'ammenda di € 200, ritenendola colpevole del reato di cui all'art. 659 c.p. (disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone): osservava il giudice che le rilevazioni fonometriche avevano accertato che «in orario notturno il rumore misurato nell'abitazione del denunciante a finestre aperte si innalzava da 37 dB a 43 dB per effetto dell'immissione sonora provocata dai rumori dei condizionatori.

Tale incremento si poneva in contrasto con i dettati dell'art. 4 del D.P.C.M. 14 novembre 2007, il quale fissa i valori limite differenziali di immissione di 5dB in orario diurno e in 3dB in orario notturno.

Inoltre – e qui si giunge ad un punto particolarmente contestato – le rilevazioni fonometriche […] evidenziavano […] livelli significativi di rumorosità prossimi al limite assoluto».

Si rammenta che il limite notturno previsto per le zone residenziali (II) è di 45dB, per le aree di tipo misto (III) è di 50dB e per le aree ad intensa attività umana (IV) è di 55dB, e che l'immobile in questione risultava «inquadrabile nell'area III, o al più nell'area IV».

Ricorreva quindi in cassazione l'imputata, evidenziando, tra le altre censure, che secondo l'orientamento giurisprudenziale «il solo superamento dei limiti massimi o differenziali nell'esercizio di mestieri rumorosi integra l'illecito amministrativo di cui all'art. 10, comma 2, della l. 447/95. (Installare un condizionatore nelle zone sottoposte a vincolo, Attenzione....)

La decisione I giudici di legittimità hanno cassato la sentenza impugnata, disponendo il rinvio al Tribunale perché proceda ai necessari accertamenti di fatto. La Cassazione ha infatti in primo luogo rilevato come non sia chiaro né il reato contestato all'imputata, né quello per cui è stata condannata: se si fa riferimento al capo di imputazione, ossia il disturbo alle occupazioni o al riposo delle persone, dovrebbe ritenersi che il fatto contestato sia il reato di cui al comma 1 dell'art. 659 c.p.; se si considera la motivazione della sentenza impugnata, che ha ritenuto centrale il superamento dei limiti differenziali di emissione nell'esercizio dell'attività di sala giochi, se ne dovrebbe conseguire che il Tribunale abbia giudicato sussistente la fattispecie di cui al comma 2 dell'art. 659 c.p., se non invece l'illecito amministrativo di cui all'art. 10, comma 2, l. n. 447/1995.

L'una o l'altra ricostruzione conducono a conseguenze, sul piano probatorio e sanzionatorio, del tutto diverse.

Il reato di disturbo alle occupazioni e al riposo delle persone L'art. 659 c.p. prevede, in particolare, due distinte ipotesi di reato:

Ø il comma 1 punisce il soggetto che arrechi disturbo alle occupazioni o al riposo delle persone mediante schiamazzi (baccano di grida discordanti e disordinate) o rumori (grida veementi e tumultuose, alterchi, diverbi, fischi e ululati) oppure abbia abusato (ossia impiegato in tempi o luoghi o in modo contrario alle leggi e alle consuetudini) di strumenti sonori (che siano normalmente destinati alla produzione di suoni – quali strumenti musicali, radio, campane -, o siano adibiti eccezionalmente a tale uso – ad esempio, casseruole, coperchi di pentole, e oggetti similari) o di segnalazioni acustiche (clacson, trombe, sirene di navi) oppure abbia suscitato o, avendone l'obbligo giuridico e la possibilità pratica, non abbia impedito strepiti di animali (rumore prodotto da animali con gli organi vocali o con il loro movimento);

Ø il comma 2 disciplina l'ipotesi in cui il rumore disturbante venga emesso da un soggetto che eserciti una professione o un mestiere rumoroso, cioè che non si può esercitare senza produrre rumori come, ad esempio, una scuola di canto, di ballo, un cantiere, ecc.

Riguardo tale previsione, va però chiarito che qualora il soggetto esercente un'attività rumorosa unisca ai rumori necessari per la sua attività altri rumori non necessari troverà applicazione il comma 1 dell'art. 659 c.p. e non la disposizione da ultimo citata.

Diversa, tra le altre cose, risulterà la disciplina dell'onere della prova In relazione alla riconducibilità delle fattispecie in esame all'una o all'altra condotta di cui all'art. 659 c.p.:

Ø nel caso del reato di cui al comma 1, sarà necessario fornire la prova dell'idoneità del rumore a turbare la quiete pubblica;

Ø nel caso di cui al comma 2, l'evento perturbante deve ritenersi presunto dall'accertata violazione di limiti stabiliti dalla legislazione speciale.

Così, ad esempio, in relazione ad un locale bar-discoteca che viene considerato, per costante giurisprudenza, di per sé non rumoroso, ove gestito con il doveroso rispetto, e come tale non riconducibile alla fattispecie di cui all'art. 659, comma 2, c.p. (riferibile invece ai mestieri naturalmente rumorosi), si è affermato: «Sul punto vale peraltro rilevare come la sentenza [di condanna] sia sostanzialmente fondata sulle plurime e conformi deposizioni di coloro che subirono i rumori molesti e di chi effettuò gli accertamenti [i vigili], mentre nessuna concreta incidenza viene assegnata ai valori rilevati dall'anzidetto tecnico dell'ARPA (neppure indicati). […] il riferimento imposto dall'art. 659 c.p., comma 1, non è già al superamento di un limite di legge, ma a criteri di normale sensibilità e tollerabilità, in un determinato contesto socio-ambientale. Non aveva quindi rilevanza specifica, ai fini di una corretta decisione, conoscere con precisione quanti decibel i rumori raggiungessero» (Cass. pen., 9 giugno 2010, n. 24503).

Reato penale o illecito amministrativo? Rispetto alla fattispecie di cui al comma 2 dell'art. 659 c.p., ossia l'ipotesi in cui l'inquinamento acustico sia stato prodotto nello svolgimento di una professione o di un'attività rumorosa, si pone un'ulteriore questione: il rapporto tra la sanzione stabilita dalla norma penale e quella prevista dalla norma amministrativa (si rammenta che norma amministrativa di riferimento è la l. 26 ottobre 1995, n. 447 - Legge quadro sull'inquinamento acustico, il cui art. 10 prevede sanzioni amministrative pecuniarie nell'ipotesi di superamento dei valori limite di emissione e di immissione fissati dalla legge medesima nell'esercizio o nell'impiego di una sorgente fissa o mobile di emissioni sonore).

La Suprema Corte, nella sentenza in commento, conferma l'orientamento, non proprio pacifico, secondo il quale, dopo l'entrata in vigore della legge quadro sull'inquinamento acustico, la condotta prevista dall'art. 659, comma 2, c.p. resta circoscritta alle sole violazioni di prescrizioni diverse da quelle relative ai limiti di emissioni o immissioni sonore (si veda Cass. pen., sez.

I, 3 dicembre 2004, n. 530); in particolare, nell'ipotesi in cui l'emissione di rumore sia stata posta in essere in violazione di norme che regolano i mestieri rumorosi sotto profili diversi dai valori-limite (ad esempio, riguardo agli orari di esercizio o all'adozione di particolari accorgimenti), residuerà un campo di applicabilità per l'ipotesi contravvenzionale.

Nel caso in questione, la Corte di legittimità richiama così in motivazione Cass. pen., 31 gennaio 2014, n. 13015, la quale chiarisce che l'ipotesi in cui l' inquinamento acustico sia dovuto all'esercizio di mestieri rumorosi e si concretizzi esclusivamente «nel mero superamento dei limiti massimi o differenziali di rumore fissati dalle leggi e dai decreti presidenziali in materia, integra l'illecito amministrativo di cui all'art. 10, comma secondo, della legge 26 ottobre 1995 n. 447 […] e non la contravvenzione di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone»; o, ancora Cass. pen., 18 settembre 2014, n. 42026, secondo cui «deve ritenersi sussistere l'illecito amministrativo ove si verifichi solo il mero superamento dei limiti differenziali; è configurabile l'ipotesi di cui al co. 1 dell'art. 659 c.p. quando il fatto costitutivo dell'illecito sia rappresentato da qualcosa di diverso ed ulteriore rispetto al mero superamento di limiti di rumore; deve poi ritenersi integrata la contravvenzione ex art. 659, co. 2 c.p. qualora la violazione riguardi altre prescrizioni legali o della Autorità, attinenti all'esercizio del mestiere rumoroso, diverse, però, da quelle impositive di limiti di immissione acustica».

Il Tribunale, nella fattispecie in commento, avrebbe quindi dovuto accertare se i condizionatori d'aria installati all'esterno della sala giochi, al di sotto del balcone dell'abitazione del denunziante, costituissero o meno uno strumento indispensabile all'esercizio dell'attività autorizzata; trattandosi di valutazione di merito, la Cassazione ha di conseguenza rinviato al primo giudice affinché compia i necessari accertamenti:

Ø se si dovesse accertare che l'impianto di condizionamento sia strumentalmente necessario all'esercizio dell'attività – che dovrà quindi essere qualificata come rumorosa – e che nel caso di specie erano stati superati i limiti posti dalla normativa pubblicistica, si configurerà l'illecito amministrativo di cui all'art. 10, l. n. 447/1995;

Ø se dovesse invece risultare che le immissioni acustiche non avvenivano nell'ambito di un'attività di per sé rumorosa, si potrebbe configurare il reato di cui all'art. 659, comma 1, c.p., sempreché ne ricorrano i presupposti e che di ciò si fornisca adeguata motivazione – mancante invece nella sentenza impugnata nella controversia in commento.(Condannato il commerciante per aver installato un condizionatore d'aria troppo rumoroso.)

Sentenza
Scarica Cassazione Penale sentenze del 23 febbraio 2015, n. 7912
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