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Contratti di locazione e clausole abusive. Interviene la Corte di Giustizia Europea.

Clausola abusiva nel contratto di locazione.
Avv. Giuseppe Donato Nuzzo 

I contratti di locazione per uso abitativo servono a soddisfare un'esigenza essenziale del consumatore che ha, di conseguenza, diritto a una protezione rafforzata nei confronti del locatore, quando questi agisce nell'ambito della propria attività professionale.

Il giudice nazionale, laddove accerti il carattere abusivo di una clausola contrattuale deve, d'ufficio, trarre tutte le conseguenze che ne derivano secondo il diritto nazionale, rendendo tale clausola inefficace nei confronti del consumatore medesimo e, in seconda battuta, valutare se il contratto di cui trattasi possa essere mantenuto in vita senza detta clausola.

Tale principio generale vale per i contratti di locazione, così come per i contratti di credito.

Sono queste, in estrema sintesi, le conclusioni formulate dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea con le sentenze in commento, depositate il 30 maggio 2013, con cui i giudici dell'Unione tornano ad occuparsi di clausole vessatorie, con particolare riferimento ai contratti di locazione conclusi con un professionista.

In tale contesto, il locatario è da considerarsi la parte debole del contratto, equiparabile al consumatore, con tutte le conseguenze che ne discendono in termini di tutela rafforzata contro eventuali clausole abusive presenti nel contratto.

La prima delle due pronunce in oggetto prende le mosse da un contratto di locazione prestampato sottoscritto tra due privati e una società immobiliare, contenente una clausola che imponeva, in caso di mancato pagamento del canone, oltre al pagamento della rata maggiorata dell'1%, anche di una penale giornaliera per il ritardo.

La controversia si sviluppa intorno al carattere abusivo della clausola predetta ed alla applicabilità o meno ai locatari della tutela speciale riservata ai consumatori, alla luce della disciplina europea e nazionale.

Il punto di partenza delle considerazioni svolte dalla Corte europea è dato dalla disciplina contenuta nella Direttiva 93/13/CEE del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive dei contratti stipulati tra consumatori e professionisti, recepita in Italia, dapprima, con il D.lgs. n. 52/1996 e, poi, con il D.lgs. n. 206/2005 (cd. Codice del consumo), attualmente in vigore.
Condizione essenziale per poter applicare la disciplina in esame è che uno dei contraenti agisca come "professionista", nell'esercizio della sua attività professionale, indipendentemente "dal termine utilizzato per designare la controparte contrattuale del consumatore", al fine di favorire la più ampia tutela della parte debole del contratto e riequilibrare la disuguaglianza esistente tra consumatore e professionista.

Da ciò consegue l'applicabilità, a favore del locatario, della tutela speciale riconosciuta al consumatore laddove, come nel caso di specie, il contratto di locazione sia stato sottoscritto dal locatore nell'esercizio della sua attività professionale.

In tali casi, sottolinea la Corte, il locatore è parte debole del contratto, vieppiù considerando che il contratto di locazione mira a soddisfare un'esigenza essenziale, quale quella di procurarsi una casa in cui vivere.

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Altro passaggio importante della sentenza in esame riguarda l'applicazione della disciplina contenuta nella direttiva 93/13 nei diversi ordinamenti nazionali. Se, da un lato, gli Stati hanno autonomia nella scelta delle procedure atte a tutelare i consumatori, dall'altro, devono comunque consentire il pieno esercizio dei diritti riconosciuti ai consumatori medesimi.

Da ciò il divieto di ridurre la portata degli strumenti di protezione dei consumatori previste dalla direttiva medesima, con norme sostanziali e processuali interne.

Tali norme non devono essere meno favorevoli di quelle che riguardano situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza) né essere strutturate in modo da rendere in pratica impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico dell'Unione (principio di effettività).

Ne consegue l'obbligo del giudice nazionale di valutare d'ufficio - anche quando l'ordinamento interno prevede una mera facoltà - il carattere abusivo della clausola e, per l'effetto, porre rimedio allo squilibrio tra le parti con applicazioni dei rimedi a tutela del consumatore, che non possono essere inferiori a quelli previsti a livello europeo.

Da questa angolazione prospettica, nel caso in esame, una volta accertato il carattere abusivo della clausola contrattuale, il giudice deve trarne le dovute conseguenze alla luce della normativa europea, non limitandosi a disporre una riduzione della penale imposta al consumatore, ma procedendo a disapplicare e dichiarare nulla la clausola predetta.

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Ecco di seguito i principi di diritto elaborati dalla Corte di Giustizia U.E.:

  • " la direttiva 93/13/CEE del Consiglio del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, dev'essere interpretata nel senso che, qualora un giudice nazionale, chiamato in sede di appello a pronunciarsi su una controversia vertente sulla validità di clausole incluse in un contratto stipulato tra professionista e un consumatore sulla base di un formulario preventivamente redatto da tale professionista, abbia il potere, secondo le norme interne di procedura, di esaminare qualsiasi causa di nullità che risulti chiaramente dagli elementi presentati in primo grado e, eventualmente, di riqualificare, in funzione dei fatti dimostrati, il fondamento giuridico invocato per dichiarare l'invalidità di tali clausole, detto giudice deve valutare, d'ufficio o riqualificando il fondamento giuridico della domanda, il carattere abusivo di dette clausole rispetto ai criteri di tale direttiva.
  • L'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che il giudice nazionale che constati il carattere abusivo di una clausola contrattuale deve, da un lato, senza attendere che il consumatore presenti una domanda a tal fine, trarre tutte le conseguenze che derivano, secondo il diritto nazionale, da tale constatazione affinché il consumatore di cui trattasi non sia vincolato da tale clausola e, dall'altro, valutare, in linea di principio sulla base di criteri oggettivi, se il contratto di cui trattasi possa essere mantenuto senza detta clausola.
  • la direttiva 93/13 deve essere interpretata nel senso che il giudice nazionale che abbia constatato d'ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale deve applicare, per quanto possibile, le sue norme interne di procedura in modo da trarre tutte le conseguenze che, secondo il diritto nazionale, derivano dalla constatazione del carattere abusivo della clausola in parola affinché il consumatore non sia vincolato da quest'ultima".

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