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Convivente, diritto di abitazione e problematiche di diritto condominiale

L'amministratore di condominio è destinatario di alcuni obblighi nei confronti dei conviventi.
Avv. Michele Orefice - Foro di Catanzaro 

In Italia si registra un calo dei matrimoni ed un aumento delle convivenze civili, soprattutto dopo l'approvazione della legge 20 maggio 2016 n. 76, che regolamenta le unioni civili e le coppie di fatto.

Le unioni civili sono quelle che si costituiscono tra due persone maggiorenni dello stesso sesso e che obbligano le parti a contribuire ai bisogni comuni, ciascuna in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale e casalingo.

Le convivenze di fatto, invece, sono quelle riferite a tutte le coppie formate da due persone maggiorenni eterosessuali o omosessuali, che hanno la facoltà di regolare i propri rapporti patrimoniali con un "contratto di convivenza" in cui devono indicare la loro residenza e le modalità di contribuzione alla vita comune.

In ambito condominiale la normativa introdotta dal ddl Cirinnà riconosce ai conviventi una serie di diritti, che “di fatto” interessano i rapporti tra i coabitanti della residenza comune situata in condominio e l'amministratore.

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Per l'esattezza l'amministratore di condominio è destinatario di alcuni obblighi nei confronti dei conviventi, soprattutto in presenza del c.d. "contratto di convivenza", che di prassi regolamenta l'utilizzo e la gestione dell'appartamento in cui si convive nonché le contribuzioni pro quota alle spese condominiali.

Tale contratto di convivenza, che era ammesso nell'ordinamento anche prima della legge 20 maggio 2016 n. 76, come contratto atipico, rappresenta comunque una facoltà per la coppia e non un obbligo.

La vera novità introdotta dalla legge Cirinnà è rappresentata dal fatto che il “contratto di convivenza”, dopo l'avvenuta trasmissione al comune di residenza dei conviventi per l'iscrizione all'anagrafe da parte del notaio o dell'avvocato che ha autenticato le sottoscrizioni, diventa opponibile ai terzi e quindi anche all'amministratore del condominio.

Per quel che ci occupa in questa sede analizziamo il caso specifico in cui il partner proprietario dell'appartamento delega stabilmente e legalmente il proprio convivente a rappresentarlo nelle assemblee condominiali.

La prima conseguenza è che il convivente di fatto, per contratto, acquisisce il diritto di partecipare alle assemblee condominiali e la sua mancata convocazione è causa di annullabilità della relativa delibera.

Quindi l'amministratore, ai sensi dell'art. 1136 comma 6 c.c., deve convocare il convivente contrattualmente delegatoa partecipare all'assemblea, che non potrebbe deliberare se non consta che tutti gli aventi diritto sono stati regolarmente convocati.

L'amministratore, peraltro, potrebbe ritenere addirittura irrilevante la conoscenza di fatto dell'avviso di convocazione dell'assemblea condominiale da parte del proprietario “delegante” nel caso in cui lo stesso avviso fosse stato notificato al partner convivente “delegato” nel "contratto di convivenza" a partecipare alle riunioni di condominio.

Orbene l'amministratore di condominio ha l'obbligo di informarsi sullo status e sul tipo di coabitazione adoperato dai conviventi, rivolgendo particolare attenzione al "contratto di convivenza" vigente fra le parti, al fine di annotare nel registro dell'anagrafe condominiale i dati degli stessi conviventi residenti in condominio.

Come noto, infatti, l'art. 1130 n. 6 c.c. attribuisce all'amministratore l'obbligo di curare la tenuta e l'aggiornamento del registro di anagrafe condominiale, che deve contenere non soltanto le generalità e i dati dei condomini proprietari, ma anche dei titolari di diritti reali e diritti personali di godimento delle unità immobiliari presenti in condominio.

Naturalmente tali informazioni personali possono essere trattate soltanto se pertinenti e non eccedenti le finalità di gestione e amministrazione delle parti comuni, come ad esempio la raccolta dei dati anagrafici e degli indirizzi che è necessaria per inoltrare la convocazione dell'assemblea o altre comunicazioni.

Precisamente il sistema pubblicitario previsto dalla legge Cirinnà consente agli interessati di accertare l'esistenza di una situazione di convivenza registrata, senza eccezioni connesse a questioni di privacy, che altrimenti non consentirebbero neanche all'amministratore di condominio, di compiere gli accertamenti dovuti per legge.

Per quanto riguarda l'aspetto specifico relativo al diritto del convivente di abitare nella casa familiare, si osserva che il comma 42 della legge 20 maggio 2016 n. 76, in caso di morte del convivente proprietario dell'abitazione comune, riconosce al partner superstite una forma di diritto di abitazione.

Sotto tale profilo si evidenzia che già prima della morte del partner la convivenza more uxorio determina, sulla casa di abitazione ove si svolge e si attua il programma di vita in comune, un potere di fatto al convivente basato su un interesse proprio ben diverso da quello derivante da ragioni di mera ospitalità; tale da giustificare il ricorso alla tutela possessoria nel caso di estromissione violenta o clandestina dall'unità abitativa, compiuta dal partner proprietario, durante una convivenza tendenzialmente stabile (Cass. n. 7214/2013).

Tecnicamente il diritto di abitazione disciplinato dall'art. 1022 c.c. è un diritto reale di godimento del bene che riconosce al titolare del diritto stesso la possibilità di abitare la casa, senza però poterla locare a terzi, come invece in facoltà dell'usufruttuario.

In presenza del diritto di abitazione come anche dell'usufrutto, il diritto del proprietario non scompare, ma viene compresso e tocca all'amministratore contabilizzare nel preventivo e nel rendiconto condominiale le quote di spettanza dell'abitatore o dell'usufruttuario. Con riferimento alla ripartizione delle spese condominiali il codice civile accomuna diritto di abitazione e usufrutto.

Ergo il titolare del diritto di abitazione è tenuto al pagamento delle spese di amministrazione e di manutenzione ordinaria del condominio, applicandosi, in forza dell'art. 1026 c.c., le disposizioni dettate in tema di usufrutto dagli artt. 1004 e 1005 c.c. (Cass. n. 9920/17). Di conseguenza il proprietario sarà tenuto al pagamento delle spese straordinarie.

Tuttavia si evidenzia come l'art. 67 disp. att. c.c prevede che "Il nudo proprietario e l'usufruttuario rispondono solidalmente per il pagamento dei contributi dovuti all'amministrazione condominiale" riconoscendo all'amministratore la facoltà di chiedere ad uno dei due l'intero debito “ordinario-straordinario” mentre una norma equivalente non è prevista per il titolare del diritto di abitazione.

In ogni caso il diritto di abitazione cessa qualora il convivente, per sua scelta, smetta di abitare nell'abitazione comune o per l'attuazione di una nuova convivenza di fatto, di un matrimonio o di un unione civile.

Il convivente more uxorio dev'essere considerato come il coniuge titolare del contratto di locazione

Avv. Michele Orefice

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